Comunità rurali e smart villages

La rivoluzione tecnologica ma più in generale gli effetti della globalizzazione hanno, di fatto, relegato le distanze geografiche ad una posizione marginale. L’abbattimento delle barriere spazio-temporali, coadiuvato da interventi pubblici ad hoc, continua ad offrire potenziali opportunità a chi, fino a poco tempo fa, vedeva limitato, a causa del luogo di nascita, il proprio agire umano e professionale, dai naturali confini territoriali.
Tuttavia, nel contesto europeo, italiano e sardo in particolare, le comunità rurali vivono un periodo di grave difficoltà. Le proiezioni demografiche certificano la fase avanzata dello spopolamento delle aree interne che comporterà una trasformazione dei Paesi e dell’Europa medesima. Le comunità rurali rappresentano l’autenticità dei luoghi, la loro portata storica, determinando al contempo identità e fattori di diversità che costituiscono una risorsa importante in termini di valore aggiunto del modello di sviluppo. E’ inoltre questione di diritti: quello di ciascuna persona di poter vivere e lavorare dignitosamente nel luogo in cui si è nati senza dover emigrare per mere necessità economiche.
Il tema delle comunità rurali è di rilevanza europea. Con riferimento all’Italia e, nello specifico, alla Sardegna i dati mostrano che il 69,9% dei comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti e in Sardegna la percentuale raggiunge ben l’83% .
Da una parte, quindi, le importanti opportunità che la “rivoluzione tecnologica” offre per costruire un modello di esistenza possibile anche nelle comunità rurali. Dall’altra l’urgenza di agire, viste le proiezioni demografiche impietose che condannano tante di quelle comunità all’inesistenza nell’arco di 50 anni. Si tratta, in fondo, di una questione di ordine politico. Di come si debba ripensare il rapporto tra centro e periferia. Se sia davvero inevitabile la scomparsa delle piccole comunità ovvero se, intelligentemente, sia possibile immaginarne un altro futuro. Infine, di natura politica sono le scelte legislative che devono essere assunte per facilitare ed attrarre investimenti.
A tal proposito è molto interessante capire come si sta muovendo l’Unione Europea. Nel settembre del 2016 è stata promossa la Dichiarazione di Cork 2.0. in seno alla Conferenza Europea sullo sviluppo rurale dal titolo “Una vita migliore nelle aree rurali”. Si è trattato di un evento importante, a seguito del quale l’Europa si è dotata di una strategia per il 2017/2020 chiamata “Piano Europeo d’azione per gli Smart Villages”.
Quali, dunque, le linee guida?
Si parte dal presupposto che le comunità rurali devono essere pensate come luoghi di vita. Esse necessitano quindi di opportunità lavorative, di servizi, di trasporti efficienti e, soprattutto, di un ambiente stimolante in grado di attrarre nuovi modelli di business adattabili alle singole realtà locali. Investire in alta formazione, nel settore delle nuove tecnologie per esempio, è utile al fine di creare nelle comunità rurali nuovi e migliori posti di lavoro. Lavoro di qualità, che possa migliorare e rendere più competitivi i mestieri tradizionali e, quando necessario, sostituirli. Vale il medesimo ragionamento sul versante dei servizi, molti dei quali possono essere già erogati efficientemente sfruttando le infrastrutture tecnologiche. E ancora i trasporti: è opportuno immaginare una rete in grado di connettere comunità rurali ed urbane in maniera tale da garantire un interscambio economico e culturale che produrrebbe ricadute positive a vantaggio di entrambe le aree. Lavoro, servizi e connessioni intelligenti.
Con quali risorse?
Il Piano Europeo d’azione per gli Smart Villages indica almeno tre soluzioni di natura economica. La prima riguarda la Politica Agricola Comune che continua ad essere uno strumento importante e che permette alle nostre comunità rurali di ottenere importanti risorse, ad esempio indirizzate alla modernizzazione delle aziende agricole, alla costruzione o all’efficientamento delle infrastrutture. Agricoltura innovativa, quindi, e minor consumo possibile del suolo che è quello che garantisce le migliori rese agricole. La seconda riguarda la politica di coesione, con un budget di 352 miliardi di euro per il 2014-2020, implementata attraverso programmi nazionali, regionali e locali, coerentemente con i principi europei di proporzionalità e sussidiarietà. Il terzo strumento finanziario è rappresentato dal programma Horizon2020, interamente dedicato alla ricerca e innovazione.
Esistono quindi le condizioni per un ripensamento radicale delle nostre comunità rurali. Non più realtà slegate dal contesto, in cui rifugiarsi solo alla ricerca di tradizioni e bellezze naturalistiche. Bensì luoghi vivi, popolati, in cui è possibile inaugurare un nuovo scenario che potremmo definire quello dell’arcaicità moderna.